Vita da Expat

Come i miei genitori mi hanno resa una viaggiatrice

Cinque giorni mi separano da un altro anno compiuto di vita. Stavo ripensando ai primi ricordi che ho di quando ero piccola. Una videocamera che seguiva i miei passi, una vecchia Seat che macinava chilometri per la Sicilia e, negli anni successivi, per l’Italia intera. Le musicassette che venivano intercambiate di volta in volta con gli stessi quattro o cinque cantanti nostrani a rotazione. Note musicali che ancora oggi mi fanno sorridere e mi riportano ai primi anni novanta quando avevo imparato a trovare modi per non annoiarmi in macchina per le ore di viaggio. 

Più ricordavo i momenti belli e più mi rendevo conto che i miei genitori mi hanno reso una viaggiatrice. 

Grazie a loro ho provato la prima volta l’emozione di esplorare un posto nuovo. Di meravigliarmi davanti alle piccole cose. Appassionarmi alla storia di un determinato luogo. 
Mi hanno insegnato a incuriosirmi e questa curiosità me la porto addosso ancora oggi. 

Sono una viaggiatrice del mio tempo

Sono cresciuta con le cartine cartacee delle autostrade italiane. La segnaletica che faceva da navigatore, che quando si sbagliava uscita diventava un casino. Si facevano dei giri immensi per rimettersi in carreggiata e si perdeva tempo prezioso. Eppure tutto era un’avventura. I margini d’errore, gli imprevisti rendevano un viaggio ancora più interessante perché erano imprevedibili e non potevi controllarli. 

Ancora oggi se posso compro le guide della mia prossima meta, mi studio i percorsi. Il mio senso dell’orientamento è buono e riesco a non perdermi se mi fisso dei punti cardinali ma mettetemi google maps in mano e potrei sbagliare strada almeno tre volte prima di capire il verso del puntatore. 

Mi preparo le playlist previaggio poco prima della partenza. Adesso ho sicuramente a disposizione un catalogo multimediale enorme a mia disposizione, ma a volte ammetto che quando torno in Sicilia, mi piace riascoltare le vecchie glorie passate dalle musicassette ai CD.

Faccio una lista delle cose da mettere in valigie e ogni qual volta un indumento o oggetto viene riposto, spunto la voce a penna. La stessa penna viene con me nella borsa con un blocco per gli appunti perché non si sa mai possa servire. Un po’ come le salviette imbevute che mamma teneva sempre nel cruscotto per ogni evenienza e che è una buona abitudine che dovrei adottare anche io! 

Mi hanno reso una viaggiatrice lasciandomi andare

Spesso quando si lascia andare via un figlio non si pensa alla propria felicità ma al suo futuro. Si spera sempre per il meglio, sapendo che avrà sempre una casa e un paio di braccia aperte pronte ad accoglierlo al suo ritorno. 

Così mi hanno accompagnata all’aeroporto (ormai cinque anni e mezzo fa) e con tanta tristezza nel cuore, mi hanno lasciata andare. Separarsi non è stato facile, né per loro né per me. Perché per lasciare il proprio porto sicuro ci vuole tanto coraggio. Devi avere delle spalle abbastanza forti da riuscire a sopportare tutto senza un supporto che sta vicino. Avere il cuore forte per sopportare l’ondata di nostalgia e sofferenza che non potranno essere spazzati via da un abbraccio. Devi avere occhi abbastanza attenti da vedere subito con chi hai a che fare perché sei solo e puoi fidarti solo del tuo istinto. 

Eppure quando inizi a trovare il tuo spazio e la tua dimensione capisci perché quel lasciarti andare è servito davvero a qualcosa. Servito a farti conoscere te stesso. Non solo ad esplorare nuovi porti ma anche ad esplorarti da dentro. Perché quando ti lasciano andare, non lo fanno per allontanarti ma per darti una direzione, la tua. 

E si impara moltissimo viaggiando

Photo by Fabrizio Verrecchia on Unsplash

Impari cose che nessuno potrà mai insegnarti perché le lezioni di vita non si imparano sui banchi di scuola. Si imparano sul campo.

L’esempio più lampante lo si nota con la lingua straniera con cui hai a che fare tutti i giorni. Una lingua che ha vita propria, che cambia nel tempo. Ha un suo accento e le sue particolarità ed ognuno la parla in modo diverso. Non assomiglia al livello scolastico. Non basta l’orecchio allenato da anni e anni di serie tv e film sia americani che british. Ci sono sfumature che si apprendono solo con il tempo. Ci si deve buttare per effettuare il cambiamento mentale che avviene nel cervello mentre si ampia e fa spazio per diventare bilingue.

La gestione dei soldi diventa la pietra miliare sul quale si baserà tutta la tua vita. La burocrazia inizierà a non avere più segreti per te. Lo spirito di sacrificio di cui i genitori ti hanno sempre parlato, si installa in te come un river che ha appena fatto l’upgrade. Perché viaggiare è anche questo: fare budget, imparare nuove cose e tenersi sempre aggiornati.

Persino risolvere problemi che ti sembravano insormontabile, con il cambio di prospettiva, diventano giochi da ragazzi. Tutto questo l’ho imparato viaggiando, da sola. Ma lo spirito di avventura lo devo tutto ai miei genitori che mi hanno reso una viaggiatrice incallita. 

La voglia di esplorare che non passa mai

Avermi reso una viaggiatrice è stata “colpa” loro perché adesso non voglio più rimanere ferma. Ho questo bisogno di scoprire il mondo che non mi abbandona mai. 

Quando ero piccola non mi accorgevo che tutte le ore passate in auto, sui treni, a camminare per città nuove ed inesplorate, mi avrebbe resa ciò che sono oggi. Prendevo tutto come un’avventura, come una giornata in cui fare qualcosa di nuovo. A ripensarci posso ammettere di essere stata fortunata ad aver viaggiato in tutta Italia in anni in cui partire non era ancora alla portata di tutti. 
I sacrifici che c’erano dietro non li vedevo, ero solo una bambina. Col senno di poi mi rendo conto che papà toglieva ore di riposo ai suoi giorni liberi per permetterci di andare in altre città, facendo chilometri che la macchina macinava a più non posso. Progettando itinerari sempre nuovi. Mamma faceva lo stesso, alzandosi ad orari improbabili per preparare il pranzo a sacco e gli zaini con tutto il necessario. E io mi alzavo invece fresca e riposata pronta per quello che ci aspettava in quel nuovo giorno. 

Adesso invece sono io che penso a tutto durante i miei viaggi. Sono diventata sia papà quando passo i miei giorni liberi a pianificare percorsi e gite; sia mamme preparando tutto tra biglietti, liste delle cose da portare e tenere tutte le prenotazioni sotto controllo. Ho un valido aiuto però che mi allevia dallo stress. 

E chissà che un giorno i miei figli non mi ringrazieranno allo stesso modo per averli resi degli esploratori del mondo. 

 

12 pensieri su “Come i miei genitori mi hanno resa una viaggiatrice”

  1. Il tuo post mi ha emozionata e con me non potevi che “sfondare” una porta aperta! La tua speranza ? proprio quello che ? successo a me. Da viaggiatrice bambina, in auto con i genitori tra musicassette e cartine, a viaggiare con i miei pargoli. scambio di ruoli ed il germe del viaggiatore pare stia facendo gi? i suoi primi effetti…sar? capace di lasciarli andare fino in fondo, come hanno fatto i tuoi, al momento giusto? Si vedr?, intanto di viaggiare non si smette mai, malattia transgenerazionale!!! 😉

    1. Bellissima la tua storia, spero anche io un giorno di passare il “germe del viaggiatore” ai miei futuri figli! 🙂

  2. Fortunatissima tu ad aver avuto dei genitori cos? perch? credo che in tal modo si abituano i propri figli ad andare alla scoperta, del mondo e di s? stessi. Io, al contrario, ho avuto genitori che sono stati l’opposto dei tuoi e il risultato ? che ora devo ancora imparare a spiccare il volo, nel senso proprio del riuscire a viaggiare, soprattutto da sola. Ma mi auguro di farcela perch? so che tutto sta nel passare oltre la paura.

  3. Quanto c’? della mia vita nel tuo racconto. 3 volte l’anno per tutta la mia infanzia e adolescenza salivamo in auto e intraprendevamo il viaggio per arrivare in Belgio, a trovare la famiglia di mia mamma e i miei nonni materni. Quei viaggi, che a me sembravano lunghissimi, perch? parliamo di 950km a tratta, allietati dalle musicassette registrate dalla radio erano talmente sognati e attesi per me, che sul calendario ogni volta facevo il conto alla rovescia: -50, -49 e cos? via, fino al -1. Quando sentivamo mia nonna al telefono ogni volta mi chiedeva a che punto eravamo del conto alla rovescia. Grazie mi hai fatto ricordare un lato bellissimo della mia infanzia.

  4. Mi ritrovo moltissimo nelle tue parole perch? se mi piace viaggiare ? anche nel mio caso ?colpa? dei miei genitori che mi hanno sempre portata in giro fin da piccolissima. Anche se non me ero consapevole, penso di aver imparato tanto in quelle gite tra Italia ed Europa, e in primo luogo la curiosit?. Una coppia di amici con due bambini di dieci e sette anni invece non vanno mai da nessuna parte ?perch? ai bimbi non interessa?: sentire queste parole mi fa venire la pelle d?oca ?

    1. A livello inconscio hanno cresciuto delle piccole esploratrici. 🙂
      A quei genitori direi che sono loro a non essere interessati e non i loro figli! I bambini spesso e volentieri hanno sempre voglia di esperienze nuove

    2. Mi rivedo molto nelle tue parole. Io sono nata nella seconda met? degli anni Ottanta, ma ricordo allo stesso modo dei lunghi viaggi in macchina dalla Svizzera verso il meridione. E poi si, anche quella insaziabile voglia di scoprire il mondo…

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