Diario di una fuorisede

Diario di una fuorisede- Il senso di solitudine

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Vivo lontana dalla mia famiglia da più di 11 anni (a settembre saranno 12). Come mi piace dire spesso, qui mi sono creata una “seconda famiglia”, fatta di amici, conoscenti, colleghi, vicini di casa, negozianti, parrucchieri… In qualsiasi momento posso prendere il mio smartphone e chiamare almeno 5 persone per andarci a prendere una birra. 

Quindi ecco, non posso proprio dire che a Roma “vivo da sola”. Però ci sono alcuni momenti in cui quella solitudine si fa sentire. Spesso siamo abituati al fatto che l’aiuto e il sostegno della nostra famiglia siano qualcosa di scontato. È ovvio che se mi serve qualcosa posso chiederlo a mia sorella, no? È mia sorella, siamo una famiglia. Questo discorso ovviamente vale per quelle famiglie in cui i legami resistano ancora, ma visto che il diario fuorisede parla innanzitutto di me e della mia esperienza, do per scontato che già lo sappiate. Vengo da una famiglia unita, in cui il sostegno reciproco è la base. So che non tutti hanno questa fortuna.

Sostegno reciproco, si diceva, giusto?

Ricordo uno dei primi anni da fuorisede. Non sapevo che si dovesse mandare la lettura alla società del gas, avevo appena cambiato casa, e quindi le prime bollette mi arrivarono con una stima dei consumi in base a quello dei precedenti inquilini. Il risultato? Oltre 400€ di bolletta, che mi sono ritrovata a dover rateizzare. Panico totale. Non riuscivo a capire come avessi fatto a “consumare tutto quel gas” vivendo da sola. Chiamai mia madre, che mi disse di controllare se la lettura del contatore corrispondeva a quella stimata sulla bolletta. Sorpresa sorpresa, non corrispondeva. Mi spiegò come fare per fare una verifica della lettura, qualche settimana dopo venne un impiegato dell’Eni a verificare che ci fosse stato effettivamente un errore, e per quasi un anno non ho più pagato la bolletta del gas, finché non sono stata rimborsata della cifra in più che avevo sborsato. In quel momento di panico, con una bolletta a tre cifre che non sapevo davvero come riuscire a permettermi di pagare, chiamare mia madre per capire cosa fare è stato spontaneo. In fondo, lei aveva di sicuro più esperienza di me, e si era trovata in situazioni simili probabilmente più volte di quante ne volesse ammettere. E poi, chi chiamare se non la mamma, quella grande roccia, quella donna forte che non perde mai la sua calma e trova sempre la soluzione a tutto?

Questo episodio mi è tornato in mente di recente. Non perché io mi sia ritrovata un’altra bolletta del gas spropositata (ho imparato la lezione, non ho mai più dimenticato di comunicare la lettura giusta in dieci anni. Certe cose le impari in fretta dopo un primo errore). Ma perché di recente mi sono accorta di aver fatto un salto mentale triplo carpiato. Prima, quando qualcosa andava storto, in automatico chiamavo un membro della mia “famiglia di sangue”, che in alcuni casi poteva anche darmi aiuti di tipo pratico, in altri no. Poteva solo tranquillizzarmi mentre io trovavo una soluzione qui, a 500km da casa. 

Non mi passava nemmeno per la testa di poter chiamare un membro della mia “famiglia acquisita”. Quelli andavano bene per prendersi una birra, o fare due chiacchiere. Non potevo mica disturbarli coi miei problemi. Ma non è proprio quello che si fa in una famiglia? Si condividono i momenti belli e quelli brutti, e si è sempre presenti l’uno per l’altro. 

Due anni fa, in pieno primo lockdown, mi si è rotto il frigo, il pomeriggio del 24 Aprile. Avevo appena fatto la spesa, e il frigo era strapieno di scorte per almeno un paio di settimane. In pratica, stavo per buttare via più o meno 70€ di spesa. Mi è tornato in mente che un mio amico mi parlava ogni tanto di suo zio, “che ripara frigoriferi e lavatrici”. Illuminazione istantanea. L’ho chiamato e mi sono fatta dare il numero. Lui mi ha anche tranquillizzata, dicendo che nello scenario peggiore lo zio aveva dei frigoriferi di seconda mano, quindi se il mio fosse stato da buttare avrei potuto rimpiazzarlo nel giro di poche ore. Alla fine era solo il termostato da sostituire, quindi una banale riparazione da pochi euro.  La differenza è che l’ho detto alla mia famiglia dopo, a “emergenza rientrata”, la sera, quando li ho sentiti. Non li ho messi in allarme prima. Come potevano aiutarmi con un frigo rotto? Potevano solo tranquillizzarmi.

E lì ho capito. La famiglia che mi sono creata qui non è solo con me quando c’è da dividersi un po’ di sushi extra all’all you can eat. È qui con me anche quando ci sono problemi, quando sento che il mondo mi sta crollando addosso, quando vorrei solo un abbraccio e un “andrà tutto bene”, esattamente come la famiglia in cui sono cresciuta e con cui condivido pezzi sparsi di DNA.

Adesso, quando sto male, so che posso chiamare anche loro. Sento la loro vicinanza anche nei momenti in cui in altri casi mi sarei sentita sola e spaesata, lontana dai miei affetti. Perché la “solitudine fuorisede” non è mai vera solitudine. E la famiglia di cui hai bisogno è solo ad un colpo di telefono da te.

Tipo, nel momento in cui ti dimentichi le chiavi.

Ma questa, come sempre, è un’altra storia.

8 pensieri su “Diario di una fuorisede- Il senso di solitudine”

  1. Importante crearsi una “famiglia” anche lontano dalla propria, ne so qualcosa, perché di città ne ho cambiate tante e ogni volta ricominciare non è stato facile. Adesso che sono diventata sedentaria, però, un po’ rimpiango quel senso di estraneità e solitudine, che ti aiuta anche a socializzare!

  2. Avere una famiglia su cui contare è una cosa bellissima, ma penso che diventare adulti sia imparare a cavarsela da soli, il che a volte dà anche delle belle soddisfazioni : ). Di sicuro gli amici fidati sono davvero un tesoro da tenersi stretti (così’ come i bravi tecnici che riparano tutto)!

  3. E’ vero la famiglia di prossimità è indispensabile quando si è lontani da casa e si hanno necessità impellenti come quella del frigorifero però certe cose si possono raccontare solo alla mamma oppure alla sorella ed è bello sapere che ci sono e anche se sono lontane ti ascolteranno

  4. Bellissime, le tue parole. Vivo vicinissima alla mia famiglia, al punto che se si rompesse il frigo, in un niente potrei portare tutto al fresco dai miei o da mio fratello. Per cui penso che abituarmi in maniera diversa potrebbe essere difficile, all’inizio. Ma allo stesso tempo mi rendo conto che posso essere parte della famiglia acquisita e a distanza per gli amici che mi lasciano una copia delle chiavi nel caso in cui “dovesse succedere qualcosa”.

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