I diari fuorisede seguono una continuity. Se ti sei perso l’episodio precedente, puoi recuperarlo qui.
Continuo a ripetermelo. Continuo a dirmi che la mia identità rimane spezzata a metà, che sono sempre divisa tra la Puglia e Roma, tra la famiglia di origine e quella che ho scelto. Ma c’è una verità, una verità che nego a me stessa perché non sono ancora pronta ad accettarla. E quella verità sta tutta in un mazzo di chiavi.
Quando vivevo in Puglia, vuoi per l’età, vuoi perché stavo in un paesino dove “ci conoscevamo tutti”, vuoi per pigrizia, vuoi per incoscienza, non avevo mai con me le chiavi di casa. I miei mi avevano fatto un mio mazzo di chiavi quando avevo più o meno 8 anni, con tanto di portachiavi di Minnie abbinato. Quel mazzo di chiavi sarà entrato nella mia borsa sì e no un paio di volte. Tornavo sempre a casa con qualcuno della famiglia, quindi non sentivo il bisogno di portarmele dietro. E quando non avevo le chiavi, potevo fermarmi da nonna ad aspettare i miei, imbucare a casa dei vicini a tradimento… nella peggiore delle ipotesi, scavalcavo il muretto che separava la rampa del garage (col cancello quasi sempre aperto) e il giardino di casa mia, aspettando i miei comodamente sdraiata sui gradini.
Per questo, quando ho annunciato ai miei di voler andare a vivere fuori casa, mia madre era terrorizzata: come avrei fatto, col mio vizio di non portarmi dietro le chiavi, a stare in un’altra città? La risposta è semplice: io, da quando sto a Roma, quel benedetto mazzo di chiavi mica l’ho mai dimenticato. Perché se quella in Puglia era “casa dei miei”, quella a Roma è “casa mia”, pure se sto in affitto. Anche quando condividevo l’appartamento con le coinquiline e magari mi dicevano “tranquilla, non ti portare le chiavi che tanto io sono a casa”, io comunque me le portavo dietro. Sempre. E quando l’aereo inizia la sua discesa su Fiumicino, io in automatico porto la mano alla tasca dello zaino in cui tengo le chiavi, mentre il mio cervello compone in automatico il pensiero “sono a casa”, saltando quel battito di cuore.
O meglio, tutto molto bello e poetico, ma una volta io quelle chiavi le ho dimenticate. Visto che vivo in un condominio tranquillo, quando scendo a buttare la spazzatura di solito lascio la porta accostata. I bidoni dell’ immondizia sono nel cortile condominiale, quindi si tratta di una gita che dura meno di un minuto. La porta la lascio sempre accostata, tranne in una sola singola occasione, nell’ormai lontanissimo 2018. Mentre esco di casa con due bustoni nelle mani, sento un “peso” nella tasca posteriore dei jeans. Mi dico che di sicuro saranno le chiavi di casa, e senza nemmeno pensarci chiudo la porta al posto di accostarla. Butto l’immondizia, risalgo e scopro che il peso nelle tasche era quello del cellulare. Un nano secondo di panico, prima di rendermi conto che in effetti esiste un mazzo di chiavi di riserva. E quel mazzo di chiavi è a casa del mio ex (allora era il mio ragazzo e basta), e io ho in mano un telefono e posso chiamarlo. Lo faccio, e nel giro di un’ora sono di nuovo dentro casa, grazie al pronto soccorso del boy.
Quindi non saprei nemmeno dire se in quell’occasione le chiavi le ho dimenticate. Ero convinta di averle con me, semplicemente non ho controllato che quel peso in tasca fossero effettivamente le chiavi. Il mio mazzo lo difendo con le unghie e con i denti, è come se in quel piccolo mucchio di metallo ci fosse la testimonianza autentica che il mio posto è qui, nella Capitale, e posso dimostrarlo: ho con me le chiavi, le chiavi di un posto qui. Che sono mie.
Negli anni, quel mazzo di chiavi col portachiavi di Minnie è finito nelle mani di mio cognato, visto che altrimenti passava le giornate a prendere polvere sul mobile all’ingresso. Quella casa col muretto basso è diventata la casa di mia sorella, e mia madre si è trasferita altrove col nuovo marito. Una nuova casa, nuove chiavi. Però stavolta i miei hanno imparato la lezione: della nuova casa non esiste un mazzo di chiavi per me. Cosa me ne farei? Torno in quella casa due/tre volte l’anno, e quando ci sono o sto a casa o vado a spasso coi miei. Non so nemmeno quale tasto del citofono premere per aprire il cancello, se arriva qualcuno. Dentro quella casa sono un’ospite, e basta. E se a volte mi dico “beh, se avessi un mazzo di chiavi mi sentirei più a casa mia”, poi penso a quelle di Minnie, abbandonate sul mobile finché qualcun altro non le ha adottate.
La verità è che quel posto non è mai stato casa mia. Anche quando ci vivevo, era “casa dei miei”. Non appartenevo a quel posto, con le mie bizzarrie, la mia voglia di fare l’artista, i miei hobby strampalati. Sono nata lì, ma non sono mai stata di lì. Ho sempre sentito il richiamo di altri posti, e anche oggi dove a Roma ho casa base, ogni tanto quel richiamo delle sirene si fa sentire. Solo che a Roma quel mazzo di chiavi c’è, ed è una piccola ancora che mi fa stare bene, pur lasciandomi la libertà di esplorare.
Quel mazzo di chiavi c’è stato da prima del primo giorno, dal momento in cui ho detto ai miei che volevo studiare cinema e andarmene a Roma. Ma questa, come sempre, ve la racconto un’altra giorno.
Ciao, sono Rainbowsplash, e mi definisco “un gavettone di colori”: mille passioni, mille cose da fare (sempre in zero tempo) e un sacco di buonumore. Scrivo per passione e per professione. Qui sul blog trovate le mie avventure da fuorisede, i miei consigli a tema beauty e i miei manuali semiseri di sopravvivenza. L’ho già detto che ho mille hobby?
Vivendo a Milano la mia gioventù è stata molto diversa, in casa mia c’è sempre stato l’incubo di lasciare la porta aperta che poi entrano i ladri, quindi le chiavi di casa sono sempre stato un must e un qualcosa di cui mi riapproprio non appena rientro in Italia in visita!
Ci credo! Per chi cresce in città è tutta un’altra storia!
Adoro questa idea di scrivere un diario con tutte quelle cose che sono cambiate da quando sei una fuorisede, ci sono alcuni avvenimanti, come questo delle chiavi, a cui nemmeno pensavi prima!
Grazie mille, mi fa davvero piacere che la rubrica ti piaccia!
Anche io nella casa d’infanzia mi sono sentita ospite perché sapevo di non appartenere a quel luogo e ormai sono 20 anni che vivo altrove e la definisco “casa di mia madre”, però al contrario di te le chiavi che ho avuto a 9 anni, le ho sempre usate per mantenere anche solo un briciolo di autonomia. Questa la mia personale esperienza
Pensa che io mi sentivo autonoma a scavalcare il muretto! Ahahah
Come ti capisco! Anche io ho lasciato la Puglia quando avevo 22 anni per trasferirmi al nord per lavoro, e da allora sono passati tantissimi anni ma io continuo a percepire la mia vita come se fosse divisa in compartimenti stagni… non proprio piacevole!
Mi sa che non si smette mai di essere fuorisede
Abbiamo spesso bisogno di simboli che ci spieghino quello che abbiamo dentro. Io ho sempre avuto le chiavi di casa, ma la “mia” casa e le “mie” chiavi sono state quelle di quando me ne sono andata dalla casa dei genitori. Le ho dimenticate raramente e ogni volta che ho cambiato casa ho anche cambiato portachiavi così, per dire che era un nuovo inizio
Molto bella l’idea di cambiare il portachiavi per ogni casa!